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BORTOT FULCIO

Storie di barba e ièie

 

Recensione di Adriana Lotto
pubblicata in "Il Corriere delle Alpi"  di martedì 20 dicembre 2005

 

Storie di barba e ièie
I racconti popolari di Fulcio Bortot

ADRIANA LOTTO

Dopo “Le terre del Conte”, Fulcio Bortot torna in libreria con venticinque racconti popolari introdotti da Francesco Piero Franchi. A narrarli si succedono “barba e ièie”, ovvero zii e zie, che, con un linguaggio semplice, rincorrono fate e gnomi, diavoli e streghe, donne astute e maschi allocchi. Magico e quotidiano si intrecciano, insomma, l’uno a spiegare l’altro, così che questo non risulti troppo greve e quello troppo distante. Dunque, se qualcosa va storto, non sempre bisogna recitare il mea culpa, perché vi sono casi nella vita che nessuno può prevedere. Allo stesso modo, se qualcosa di tanto in tanto va bene, è prudente non vantarsi troppo. Il portentoso pertanto, nel bene e nel male, fissa un limite, non tra reale e immaginario, ma tra reale e possibile, tra ciò che è e ciò che avrebbe potuto non essere o essere in altro modo. La qualcosa non esclude il ruolo degli uomini che spesso, anzi, provocati, non osservano limiti e divieti oppure sono capaci di contrastare il male dando scacco al diavolo stesso. In ogni caso, comunque, nessuno può dire di essere al sicuro, solo sperare che non capiti troppo spesso che il diavolo o il caso bussi alla tua porta e ti metta alla prova.
 Una cultura del limite trapela da questi racconti: l’eccesso porta sempre al contrario di ciò che si cerca, e la ricerca, come la vita, non finisce mai, o meglio finisce, prima o dopo, con la singola esistenza. E quello che si cerca è di stare meglio di come si sta, un poco soltanto, tuttavia, perché il meglio nel senso del «bene» non esiste, nemmeno per re e principi e principesse. Ne sa qualcosa Teresina dalle spine, mater dolorosa, o il Re solitario o lo sfortunato figlio del re, il quale, per negligenza, perde l’amata, come la volta prima Orfeo aveva perduto Euridice. Leggerezza, negligenza, vanità, civetteria, arroganza e prepotenza sembrano essere i difetti dei più giovani, uomini e donne, così poco avvezzi alla vita da credere di dominarla. La brama di potere o di felicità affligge anche i potenti, che vorrebbero persino poter leggere nei pensieri degli uomini, e che a volte sono ricondotti entro i ranghi proprio da umili contadini, come nel racconto “Il trono del re”, in un “contrasto” che non mette comunque in discussione il potere, semmai la sua arroganza e ignoranza. E battuti senza pietà sono gli stolti, che in quanto tali nulla possono capire, nemmeno che sono stolti.
 Dunque il male si può addomesticare, a volte neutralizzare, mai eliminare. E il bene, tema del racconto di apertura, è uno stato di benessere che dura da mezzogiorno all’una e che sente chi, a quell’ora, si trovi a passare sotto le cime del Priéta, del Pizzocco, del Serva, della montagna di Socchèr, alle pendici del Visentìn, sull’altopiano del Cansiglio o in Nevegàl. Se quanto detto ha una sua legittimità, si può concludere che il libro è adatto ad adulti e bambini, anzi, bene sarebbe che lo leggessero insieme, così mentre gli uni ricordano, gli altri imparano.
Fulcio Bortot, Storie di barba e ièie. Racconti popolari del Bellunese, Edizioni Campedel, Belluno 2005, Euro 13.00

Il Corriere delle Alpi, martedì 20 dicembre 2005,  pagina 42 - Cultura e Spettacoli