Partendo da una comune percezione semantica, sembrano esserci significativediversità tra le parole “limite” e “confine”, termine quest’ultimocui Servitium ha già dedicato un quaderno nel 2001 (133, gennaio-febbraio). “Limite” sembra, come dice la stessa parola, “delimitare”, riconoscere, cioè, ammettere, accettare che esistano nell’esistente delle separazioni, delle definizioni necessarie per individuare, per non lasciare nel confuso, nell’indistinto e, in definitiva, nell’inconoscibile, per rivelare la sua
verità; “limite” dice anche individualità, appartenenza, caratterizzazione: tratti tutti indispensabili e utili a salvaguardare condizioni identificanti, riconoscimenti, prerogative, diritti, ecc.
“Confine” sembra piuttosto riferirsi a ragionevoli e/o concordate, accettate o imposte, regole per salvaguardare, difendere, rivendicare, ecc. La parola “confine” lascia trasparire l’idea dell’ulteriorità, dell’oltre, dell’altro, verso il quale lo stesso confine è contiguità, condizione dialogica e c
omunicativa.
Il quaderno vorrebbe pertanto mettere in luce l’aspetto positivo insito nella necessità del limite e nella sua accettazione (da parte di chi è attore e di chi ne è spettatore), come condizione per vivere la e nella particolare verità del proprio essere e la sua insostituibilità. Si possono cogliere importanti sollecitazioni al modo di percepire validamente questo senso del limite considerando la rilettura neotestamentaria dell’evento dell’incarnazione e le coniugazioni ch
e ne vengono derivate particolarmente dalla letteratura paolina. Ma anche le altre Scritture, a partire dalla Genesi (il “limite” messo in atto con la creazione, richiamato anche dai Salmi – come il 104 –, dal libro Proverbi – 8, 29 –; o quello invalicabile posto da Dio tra il popolo e sé in Esodo 19, 12.23; ecc.), parlano, o vi alludono chiaramente.
A questo corrispondente, e quindi ugualmente necessario, l’aspetto, per così dire, negativo: quello, cioè, che in ogni genere di convivenz
a o di semplice relazione, impone la fatica di conoscere, di accettare, di rispettare soprattutto, di vivere al di qua delle proprie capacità e possibilità, di stare, appunto, dentro i propri limiti, e che richiede una coscienza pura, umile onestà, un pensare vero, un agire disciplinato e giusto.
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