Dalle memorie della donna, che
fu internata nel lager di Ravensbrück, emerge un Wojtyla inedito, confessore
e direttore spirituale.
Diario di un’amicizia mostra una piega nascosta della personalità di
Giovanni Paolo II, quella di confessore e direttore spirituale.
Lui non ne ha mai parlato. Ma c’è in Polonia una persona che ha potuto
farlo. Anzi ha "dovuto" farlo.
Si chiama Wanda Poltawska, medico psichiatra, reduce dal campo di
concentramento di Ravensbrück, dove venne sottoposta a esperimenti medici
dai criminali nazisti.
Un giorno incontrò Karol Wojtyla e nacque un’amicizia straordinaria e un
percorso unico di direzione spirituale.
Questo libro lo ha scritto lei, dopo aver avuto l’autorizzazione da parte
di Giovanni Paolo II nel 1993. Ma questo libro è anche un esercizio
spirituale per chi lo leggerà.
Intreccia ricordi, preghiera, meditazione. È il resoconto della scoperta
del valore dell’uomo, che l’orrore del campo di concentramento aveva
incrinato nel la mente di Wanda. È il resoconto di una ricerca sulla fede,
un groviglio di pensieri lungo decenni, ispirati da un uomo che diventerà
Papa.
Mostra il profilo meno noto del Papa, che tutti
conosciamo mediatico e viaggiatore fino allo sfinimento: quello del
prete.
A volte sfugge la dimensione del sacerdote "normale" in mezzo ai
grandi eventi del pontificato di Giovanni Paolo II. Questo libro restituisce
una memoria che mancava.
Nel libro il marito di Wanda, Andrzej, sbaraglia ogni in terpretazione: «La
direzione spirituale e la vicinanza personale del grande sacerdote hanno
permesso a mia moglie, Wanda Poltawska, di raggiungere l’armonia e la pace,
le hanno reso possibile conciliare il lavoro per gli altri con la vita
familiare e, col passare degli anni – ne sono trascorsi 60 – hanno reso
possibile il continuo approfondimento e aumento della nostra vicinanza e
armonia coniugale».
Poi c’è la spiegazione di Wojtyla. Perché è lui che accetta di
rispondere a Wanda una mattina in una chiesa di Cracovia.
Il motivo lo racconterà lui stesso in una lettera che il 20 novembre 1978,
pochi giorni dopo il Conclave, spedisce a Cracovia a Wanda (la pubblichiamo a
pagina 51). È come se Wojtyla avesse trovato in Wanda tutta l’umanità che
ha sofferto nei lager, quella che ha dovuto rispondere, e non sempre ci è
riuscita, alla domanda terribile su dove fosse Dio in quei momenti.
Karol Wojtyla evitò, per fortuna o per grazia, l’arresto. Riuscì a
frequentare il seminario clandestino a Cracovia. Ma sappiamo che sempre si
interrogò su quei fatti. Ebbene, il futuro Papa si
convinse che Wanda soffrì al posto suo.
Per questo decise di aiutarla a cercare Dio.
Questo libro serve a cercare Dio. Dopo la Seconda guerra mondiale molti si
chiesero come era possibile vivere dopo Auschwitz, dove fosse Dio in quei
momenti, se l’orrore e il genocidio non avessero definitivamente cambiato
il volto di Dio e dell’uomo.
Anche Wanda Poltawska si interroga. Discute con il marito filosofo, ma
capisce che la psichiatria non basta, la filosofia neanche.
È inquieta. Come molti ex prigionieri, non riesce a trovare
tranquillità, né un posto nella società.
Ha bisogno di risposte.
Una mattina, a Cracovia, entra in chiesa. Le avevano indicato un professore
di filosofia, Karol Wojtyla. Lo aspetta alla fine della Messa. Lui le dice:
«Tu non vieni da me. Ma vieni ogni mattina a Messa». Insomma, lui le apre
una finestra su Dio e sulla verità dell’uomo.
Wanda scriverà le sue memorie del lager in un libro duro, che fa male. Lei
era un "coniglio", cavia da esperimento.
Il libro si intitola E ho paura dei miei sogni, è uscito in italiano qualche
anno fa. Con quel sacerdote nasce un’amicizia personale e spirituale che
coinvolge l’intero mondo di Wanda: il marito, i figli che arriveranno,
altri studenti, altri intellettuali, altri sacerdoti. Ci sono i campeggi
in Polonia, decine e decine di quaderni di riflessioni comuni: «Avevamo l’abitudine
di meditare insieme al mattino dopo la Messa. Don Wojtyla sceglieva un testo
su cui riflettevamo nel corso della giornata e poi ne discutevamo alla
sera».
Quando lui viaggia le invia per lettera le frasi da meditare e lei scrive e
gli rimanda gli appunti che lui commenta e chiosa. Così fa anche quando
diventa Papa. Sembrano riflessioni alla rinfusa. Invece sono un severo, ma
armonico, percorso di ricerca spirituale.
Una memoria perfetta
E quando Wanda si ammala don Karol scrive a padre Pio di pregare per lei. Era
il 1962 . Il tumore improvvisamente sparisce.
La storia è nota. Nel libro oggi possiamo trovare ciò che non sappiamo, e
cioè le riflessioni di chi è stata sorpresa dalla Grazia e, scrive, le
sembra di aver «capito qualche cosa su Dio».
Eppure la vita di Wanda non smette di complicarsi: altre malattie, altro
dolore, perché gli esperimenti nazisti sul suo corpo hanno lasciato segni
indelebili. Lei lavora con le donne; insieme a Wojtyla fonda l’Accademia
per la vita di Cracovia. Prima è solo una casetta dove si rifugiano le
ragazze che scelgono di non abortire. Finché un giorno Wojtyla riparte per
un altro conclave.
Le dice: «Pensavo di avere più tempo». Lei è un po’ turbata. Gli
chiede: «Quale nome prenderai da Papa?». Il marito lì accanto esclama:
«Ma come quale nome? Giovanni Paolo II». Wanda nel diario scrive: «Lui non
rispose». La storia è andata proprio così.
Non ci sono rivelazioni sugli anni di pontificato.
Buona parte del diario è segreto e tale resterà. Ma qualche curiosità
Wanda la soddisfa. Spiega che lei leggeva ad alta voce a Castelgandolfo in
vacanza libri di letteratura mentre il Papa leggeva testi di filosofia o
teologia: «Aveva l’attenzione divergente e una memoria perfetta, teneva a
mente entrambi i testi. Leggeva una quantità enorme di libri. Non ho mai
incontrato una persona che leggesse tanto, conducendo nello stesso tempo una
vita così attiva». Alberto
Bobbio |