CORONA MAURO
Vajont: quelli del dopo
Oscar Mondadori, Milano 2006
Recensione tratta da "Il
Corriere della Sera", sabato 6 maggio 2006, Cultura.
TORINO Una polemica sull’uso
strumentale dell’evento di Longarone scuote la Fiera del Libro
"Vajont, accuso i
superstiti di professione" Lo scrittore-alpinista Mauro Corona contro
lo spettacolo della tragedia
- TORINO - "Il Vajont? Ha
creato una nuova professione: quella del superstite". Mauro Corona,
lo scrittore-alpinista di Erto, paesino nella valle in cui il 9 ottobre
1963 una frana travolse duemila persone cancellando per sempre dalla carta
geografica il paese di Longarone, non conosce la diplomazia e sceglie la
Fiera per lanciare un duro j’accuse su quello che è successo dopo. Dopo
la frana, ma anche dopo lo spettacolo di Marco Paolini e il film di Renzo
Martinelli, che hanno avuto il merito di "far conoscere all’Italia
dei grandi fratelli e delle isole dei famosi la nostra pena", anche a
costo di "rappresentarci - dice Corona - come ha fatto Martinelli per
esigenze di copione, come dei rozzi montanari, mentre da noi c’era la
migliore cultura della valle". Barba e capelli lunghi, il solito look
da "disperso nei boschi", Corona è arrivato ieri con le due
figlie al Salone dove questa sera alle 20 (Sala gialla) presenta il suo
Vajont, quelli del dopo (Mondadori). Il suo è un libro strano, un po’
pamphlet, un po’ inchiesta, costruito raccogliendo testimonianze nel
paese, nelle osterie, nelle strade. "Non faccio nomi, ma ho voluto
documentare tutto - dice - non ho inventato niente. Sono voci, discorsi
che si fanno e che nessuno ha avuto finora il coraggio di mettere nero su
bianco. Io li ho registrati, apertamente, alla luce del sole così nessuno
può dire che me li sono inventati".
- Il libro è costruito come un
dialogo a sei all’Osteria del gallo cedrone: protagonisti quattro
avventori, un superstite che ha avuto cinque morti in famiglia e l’oste
nato dopo il disastro e che per questo viene emarginato dagli altri
("sembra sia una colpa non essere crepati nel Vajont o non essere
nati prima", dice a un certo punto). "Dopo il caso Paolini in
molti hanno sfruttato il Vajont per interessi personali - spiega Corona -.
Sono apparsi più libri negli ultimi due anni che nei quaranta prima.
Intendiamoci, Paolini, con la sua orazione civile, ha fatto solo del bene
a questa terra, tutti devono essergli grati. Ma poi ha lasciato l’opera
a metà, come un aereo che, dopo il decollo, si stabilizza a una certa
quota. Avrebbe potuto usare la fama raggiunta, anche in seguito, per
cercare di salvaguardare Erto, fare pressioni sullo stato, lanciare
iniziative per cercare di ristrutturare un paese antico che sta andando in
rovina. Invece sono già crollate duecento case, una addosso all’altra
come in un gioco di carte. Sarebbe stata un’opera meritoria, da parte di
Paolini, in fondo il Vajont ha fatto del bene anche a lui".
- Una frecciata, ma anche uno
stimolo a riaprire il caso Vajont, a tornare a occuparsi di quella terra,
che Marco Paolini ieri non ha commentato perché irraggiungibile. Ciò che
è successo in realtà si è tradotto in un fatto principale: "Quella
di superstite è diventata una professione. Gratuita, naturalmente. Non si
fa per soldi, ma per apparire. C’è gente che va ogni domenica alla
diga, quando c’è folla, a dire che ha perso tutto e invece non ha perso
nulla. Gente che vende il dolore in cambio non di soldi, ma della pietà.
E poi la tv. Ho visto sindaci del Vajont con tanto di fascia tricolore al
Maurizio Costanzo Show".
- Ma non è solo pietà, parlare
del Vajont significa anche parlare di soldi. Vajont è diventato un
marchio, vendibile come tutto. "Ho visto forme di formaggio con
stampigliata la diga. È diventato un mercato, quasi peggio di Lourdes,
dove si commercia di tutto". Ma le accuse di Corona coinvolgono
tutti, le istituzioni, i compaesani, lo stato.
- Prendiamo lo scandalo delle
licenze. "Ci fu una legge che permetteva a chiunque avesse una
licenza da artigiano di chiedere allo stato miliardi di lire a fondo
perduto per avviare imprese. Molti ingenui vendettero le loro licenze a
imprenditori più furbi che prendevano i soldi dallo stato e invece di
costruire fabbriche andavano in Svizzera". Per non parlare dei
risarcimenti. "La transazione economica proposta dall’Enel dopo la
tragedia è stata una cosa scandalosa. Al figlio per la morte di un
genitore davano un milione, uno e mezzo se era minorenne. Un figlio un
milione e mezzo, due se era figlio unico. E in cambio si doveva firmare
che non avrebbero più chiesto nulla. Un nonno costava solo 500 mila lire.
Si pensava che avesse poco da vivere".
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