Da circa due anni vivo sotto scorta per la minaccia dei
terroristi islamici a cui si sono rapidamente aggiunte altre minacce di
nazionalisti arabi, estremisti di destra e di sinistra in Italia. Sto
sperimentando sulla mia pelle sia "l'islam che mi fa paura " sia
la globalizzazione dell'estremismo ideologico e del terrorismo. Ed è
proprio la saldatura della fenomenologia eversiva tra i gruppi radicali nei
Paesi musulmani e in Occidente ciò che ha trasformato anche l'Italia in un
caposaldo e in un bersaglio del terrorismo islamico. Ero appena rientrato a
KuwaitCity dopo una visita nel sud dell'Iraq liberato dalle forze
anglo-americane quando, verso la metà del mese di aprile 2003, fui
informato dall'Italia che ero oggetto di una minaccia da parte della
dirigenza di Hamas, il movimento terroristico islamico palestinese. La mia
colpa era di aver fermamente condannato gli attentati terroristici dei
kamikaze palestinesi che mietono tante vittime tra i civili israeliani.
L'ordine impartito era preciso: se avessi continuato a contestare il
terrorismo dei kamikaze palestinesi, mi avrebbero ucciso. (...)
L'editore della "Repubblica", Carlo DeBenedetti,
a cui mi legava un rapporto di rispetto e simpatia, mi aveva proposto di
partire per un po' di tempo negli Stati Uniti. Era un modo sia per sparire
dalla circolazione sia per approfondire le tematiche del terrorismo islamico
in chiave americana. Senonché quando era tutto pronto per il mio primo
viaggio in America, Stefano Folli, neodirettore del "Corriere della
Sera", mi propose di passare al più prestigioso giornale d'Italia con
la qualifica di vicedirettore ad personam. Era una di quelle proposte che
non si possono rifiutare. L'intesa fu siglata il primo luglio ed entrò in
vigore dal primo settembre 2003. Poco dopo il rientro in Italia dal Kuwait
cominciò la mia vita sotto scorta. (...)
Non è un benefit offerto a titolo onorifico.
Sinceramente avrei di gran lunga preferito non avere la scorta. Perché
rappresenta una pesante limitazione della libertà personale e, nel mio caso
specifico, un ostacolo non secondario nell'esercizio della mia professione
di giornalista. Da quando ho la scorta sono stato costretto a molte rinunce
nella mia vita privata, così come non ho più potuto svolgere il mio
mestiere come prima. (...)
Alla fine mi sono convinto che, nonostante i problemi che
il servizio di scorta pone, io ho il dovere di accettare la protezione che
mi viene offerta, per me, per i miei figli e per i miei cari, così come ho
il diritto di continuare a testimoniare tramite il mio lavoro giornalistico
e il mio impegno civile la mia fede nella sacralità della vita di tutti.
Ecco perché ho deciso di accettare lemisure necessarie atte a sconfiggere i
piani criminali di coloro che non esitano a uccidere. (...)
Torniamo alla specifica minaccia di Hamas. Non vi
nascondo che lo stupore era tanto: come è possibile che un'organizzazione
terroristica palestinese, radicata a Gaza e prevalentemente attiva nei
territori palestinesi, mostri interesse per quanto scrive e dice un
giornalista italiano di origine egiziana in Italia? (...)
La lingua italiana, lo dico con rammarico perché ne sono
un fervido estimatore, è di fatto ininfluente al di fuori dei nostri
confini nazionali. Possibile allora che la dirigenza di Hamas a Gaza si
siamessa a vagliare gli articoli e i discorsi in lingua italiana di Magdi
Allam, sentenziandone quindi la condanna a morte? Messo così il discorso
non regge. Mase invece consideriamo la dimensione globalizzante che ahimè
dopo i mercati, le finanze e l'informazione concerne anche il terrorismo,
allora nel discorso si può trovare un qualche filo logico. L'Italia — per
proprie colpe, ingenuità e connivenze —è diventata una piazza di
rilevante importanza per l'attività del movimento internazionale dei
Fratelli Musulmani a cui fanno riferimento, sul piano ideologico, politico e
organizzativo sia Hamas sia l'Ucoii (Unione delle comunità e delle
organizzazioni islamiche in Italia). Partendo dal presupposto che Magdi
Allam e più in generale i mass media italiani non dovrebbero interessare
più di tanto alla dirigenza di Hamas a Gaza, se invece si rileva che questo
interesse esiste, ne consegue che a innescarlo sia qualcuno che risiede in
Italia. Che parla bene l'italiano. (...)
Dunque, la prima ragionevole riflessione è che la fonte
che ha individuato e valutato la minaccia rappresentata da Magdi Allam non
può che essere interna all’Italia. La seconda ragionevole riflessione è
che tale fonte debba avere non solo un collegamento ordinario, ma un
rapporto organico e privilegiato con la dirigenza di Hamas. (...)
Oggi non solo i nostri servizi segreti ma anche le alte cariche dello
Stato esprimono il convincimento che ci sia una "doppia cabina di
regia" dietro il terrorismo che colpisce gli italiani in Iraq, dal
momento che è del tutto evidente la sua capacità di interferire e
condizionare la realtà interna italiana con una scelta dei contenuti,
l'individuazione dei referenti politici e una precisione di tempi che
risulta sempre più stupefacente e sconcertante.