Il mio commento a “Un respiro nella neve” dopo una attenta e piacevole lettura
di Luigi Gentilini
L’Autore narrante è una dualità inscindibile: un intero di due metà congiunte. Dentro questa bolla bifronte si muove la Vita che completa il suo senso nella capacità dell’abbandono, con la sacralità di una congiunzione armoniosa creatrice di universi.
Questa compenetrazione amorosa, che si fa norma permanente, è un inno sublime al significato dell’essere la cui ragione definitiva è il “tu” senza il quale l’”io” non ha senso.
Questo amalgama armonico così meravigliosamente concentrato, così indiviso, così spontaneo come il respiro o il battito del cuore, diventa l’incarnazione di un ideale di vita che trascende i limiti delle transazioni umane e respira l’aria purificatrice delle più alte vette di ogni destino umano. Infatti le nostre Dolomiti, come descrive l’Autore, raccolgono questa corolla di vita che brilla d’intensità ad un unico sole e tremula d’emozione alle brezze di canaloni petrosi.
Un germe maligno tenta di devastare l’incantesimo di questa amorosa unione. Ma il male non riesce a vincere, neppure con la morte, perché l’Amore, come quello dell’Autore, è immortale e infinito: non distrugge, ma modifica, lasciando inalterata la passione e l’intensità del rapporto.
Questa fluida prosa in cui affiora, a tratti, una struggente poetica come un fenomeno carsico, ara l’anima del lettore, seminando emozioni e sentimenti che richiamano le commoventi dolcezze delle nostre origini. Alla lettura di queste parole, lasciando cadere il libretto sulle ginocchia, si apre il mondo della Bellezza, non importa se con un sorriso e con una lacrima. Come un torrente dolomitico l’acqua limpida d’azzurro dell’Autore raggiunge la sponda del nostro cuore, entra benefica e irriga zolle aride, rigermogliando speranze e attese: un gran bene di cui non possiamo non essere grati a chi ce lo ha donato.
Chiude con il suo nome: Gianfranco.
No, non è il “suo” nome; è il nome del suo involucro.
Perché tutti quelli come lui hanno lo stesso nome ed io, per primo, se lo dovessi incontrare – e me lo auguro di cuore – lo chiamerei con questo nome, non con le labbra, perché è un nome impronunciabile, ma con lo sguardo e il sorriso, così come due viandanti che si trovano sullo stesso cammino e condividono le loro cose.
L’intensità e la grandezza, velate da un virginale pudore, contenute nel racconto di questa Vita, sono un altare ove si celebra il cantico supremo dell’Amore e il suo fascino, felice o tragico che sia, ci rende migliori.