Verità dimenticate – Baget Bozzo

 

Si potrà non essere d’accordo con le idee – teologiche, storiche, politiche, filosofiche e chi più ne ha più ne metta – di don Gianni Baget Bozzo. Si potranno esprimere dubbi sulle scelte più strettamente partitiche del sacerdote genovese e potranno apparire a prima vista difficilmente componibili la militanza nel movimento giovanile democristiano e la collaborazione alla rivista "Renovatio" del cardinale Siri negli anni Sessanta, l’impegno nel PSI negli anni Ottanta e l’attuale attività politico-culturale che lo vede molto vicino al Presidente del Consiglio e al suo movimento. Per non parlare, poi, di certo filoatlantismo che appare, a volte, invero esagerato...

Cionondimeno bisogna dare atto a don Gianni di aver sempre manifestato, in modi e tempi diversi, una limpida volontà di esprimere liberamente e senza fastidiose autocensure la propria opinione sia su ardue questioni teologiche, sia su tematiche di stringente attualità. Ogni suo nuovo libro, pertanto, costituisce un contributo rilevante ad un dibattito culturale nazionale che, il più delle volte, appare essere una morta gora, ove si affollano solamente i temi triti e ritriti del più vieto politicamente corretto. Anche l’ultimo saggio di don Gianni, appena uscito per l’editrice Ancora e significativamente intitolato "Verità dimenticate – Vita eterna, anima, escatologia", non sfugge alla regola. Già dal titolo. Eh sì, perché parlare di vita eterna e di anima, anche in ambito ecclesiastico e dal punto di vista teologico, sembra oggi poco di moda, quasi un argomento polveroso e retrogrado agli occhi di quella vasta schiera di preti progressisti e di teologi postconciliari che, bandiera arcobaleno ben in vista sulla canonica o, addirittura, in cima al campanile, si riempiono la bocca di socialità e di pace nel mondo, dimenticando l’essenza del cristianesimo.

Don Baget Bozzo, al contrario, ha scritto un libro che, egli rileva, "tende a porre al centro della teologia cristiana la vita eterna come verità dimenticata, mostrando la natura escatologica del Cristianesimo a partire dalle aporie e dalle contraddizioni della sua storia". E’ un saggio, sottolinea il sacerdote e teologo, che "tende a rimettere in valore la teologia dell’anima, immortale per natura e divinizzata per grazia, che è parte fondante della tradizione cristiana". E, infine, nel libro si espone una concezione della storia "come il processo di unione di Dio e dell’uomo", cioè "la trasformazione della creatura, segnata dalla potenza del nulla e quindi dalla realtà del male, nel corpo divino umano della Trinità in Gesù Cristo".

Sono argomenti questi, ne converrà il lettore, ben lontani dal chiacchiericcio quotidiano che ci ammorba, stordendoci, l’esistenza, e che, al contrario, ci riportano ai temi di fondo dell’esperienza cristiana della fede. Temi, soprattutto quello dell’immortalità dell’anima, che la teologia postconciliare, sulla scia del pensiero moderno, ha progressivamente cancellato dal centro della sua riflessione e che, conseguentemente, sono spariti anche dal vissuto del fedele medio.

L’anima, dunque. E allora, per mettere una volta per tutte i puntini sulle ‘i’, il Nostro Sacerdote va in primo luogo alla ricerca di una definizione del concetto di anima che, finalmente, si ispiri ai dettami della Tradizione, non confondendo, cioè, l’anima con lo spirito, e ristabilendo, pertanto, la tripartizione - che è anche, non dimentichiamolo, precristiana – tra corpo-anima-spirito. L’anima appare quindi correttamente come "lo spirito dell’uomo in quanto distinto da Dio che è puro spirito", e "la dimensione propriamente umana della realtà spirituale". O, anche, don Gianni sottolinea che "l’anima esprime la dimensione ontologica dello spirito", e che essa indica "che lo spirito anima un corpo rimanendo spirito". Potremmo pure dire, con un linguaggio più filosofico che teologico, che l’anima è il divino nell’umano in quanto è nel corpo, o ancora che è quella "dimensione che salda[…] corpo e spirito nell’unità dell’io". Tutto questo antico patrimonio della Tradizione è andato purtroppo perduto nel pensiero moderno e la teologia contemporanea non è riuscita a recuperare il concetto di anima, anzi, ne è stata la più pervicace negatrice, trascinando con sé, nella negazione dell’anima, la stessa negazione dello spirito, cioè del divino, introducendo al posto del termine ‘anima’ l’equivoco concetto di persona.

Baget Bozzo insiste inoltre, con ragione, sulla stretta connessione esistente tra anima e singolarità: senza la piena affermazione e comprensione dell’anima non esiste neppure l’io, la specificità dell’io, quel ‘singolo’ che è centrale nella storia del pensiero occidentale, dalla metafisica greca al Cristianesimo. E così compendia in modo efficace il suo pensiero su questo fondamentale punto: "Perdere il valore dell’anima nel Nuovo Testamento significa perdere il senso di Gesù come rivelatore della dimensione singolare e spirituale dell’uomo. La scoperta dell’anima come coscienza, intelletto e volontà rivolta all’Eterno, è una metafisica, è la metafisica della predicazione di Gesù".

Ma vi è di più: la stessa resurrezione dei corpi non è correttamente pensabile senza l’anima come singolarità, "se non si pensa – in qualche modo – il principio spirituale dell’uomo, l’anima, come ciò che dà identità al corpo morto e al corpo resuscitato". E, allora, qui il discorso si fa veramente interessante anche al di fuori dell’ambito strettamente religioso e teologico per toccare i perigliosi lidi del politico, del sociale e dell’economico. Sì, perché perdere la comprensione del significato di anima, la sua immortalità e, quindi, non riuscire più a capire la singolarità spirituale dell’uomo, porta, per progressivi scivolamenti verso l’errore, a fraintendere pure il senso della resurrezione dei corpi, esemplata sulla resurrezione di Cristo. "Senza il concetto di anima – sottolinea don Gianni – la Resurrezione di Cristo sarebbe una resurrezione politica, avente un significato messianico; sarebbe la resurrezione di un popolo". Ed è quello che in effetti è accaduto negli ultimi decenni: alla salvezza delle anime si è sostituita la liberazione sociale e politica dei corpi, al messaggio spirituale del Nuovo Testamento si è contrapposta la fase più arcaica del Vecchio Testamento, laddove, come nel profeta Ezechiele, la resurrezione è il risorgere politico del popolo d’Israele. Ecco che, ora, il lettore attento certamente comincerà a intendere come l’arduo discorso teologico del sacerdote genovese ci consente di meglio penetrare negli errori delle interpretazioni politiche e sociali del cristianesimo, quali hanno iniziato a comparire dopo il Concilio Vaticano II con la teologia della liberazione, sino a giungere ai nostri giorni con i preti pacifisti e no-global.

La deriva sociale e politica del messaggio evangelico è, infatti, un portato della dimenticanza della verità, in particolare di quella riguardante l’anima e la sua immortalità. La perdita dell’anima ci fa ricadere dopo venti secoli in una teologia politica e sociale di tipo veterotestamentario: il risultato è la sostanziale cancellazione della novità del messaggio di Gesù, la sostituzione della salvezza dell’anima con una liberazione di tipo sociopolitico e del Regno dei Cieli con la "Nuova Gerusalemme" situata nell’al di qua. Insomma, la trasformazione radicale, se non l’annullamento, del Cristianesimo.

Affermare, pertanto, che quel che sostiene don Baget Bozzo è, nell’attuale clima culturale nazionale, quantomeno rivoluzionario, significa dire poco. E, di conseguenza, siamo certi che, al di fuori del "Secolo", non ne parlerà alcun’altra testata.

Francesco Demattè

Pubblicato su "Il Secolo d’Italia" il 30/11/2004