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200840

SULPICIO SEVERO

Lettere e dialoghi

 

 

Scheda di presentazione

 

L’autore

Sulpicio Severo nacque in Aquitania verso il 363 da una ricca famiglia di alto rango; studiò grammatica, retorica e diritto a Bordeaux, acquisendo quell’arte di cui dà sfoggio nei suoi scritti. Durante gli studi strinse una grande e durevole amicizia con Paolino, quello che poi fu vescovo di Nola e rinomato poeta. Terminati gli studi, Sulpicio intraprese la carriera del foro.

Verso il 389 ricevette il battesimo e sposò una facoltosa donna di famiglia consolare, che ben presto però lo lasciò vedovo: Sulpicio, già incline alla malinconia, fu colto da una crisi esistenziale, che gli fece abbandonare la vita pubblica e rinunciare a gran parte dei suoi beni. Ritiratosi in una tenuta a Primuliacum, nel sud della Gallia, iniziò il suo cammino spirituale. Radunò attorno a sé una comunità, che veniva sostenuta dalla ricca suocera Bassula, quella stessa che poi incoraggiò il genero a pubblicare le opere su Martino di Tours. Prendendo esempio da quest’ultimo, Sulpicio e i suoi amici imposero alla comunità uno stile monastico, per quanto aristocratico ed esclusivo.

Aspetto problematico della vita di Sulpicio è una presunta simpatia per gli errori di Pelagio: stando alla testimonianza di Gennadio di Marsiglia, sul finire della vita Sulpicio si sarebbe imposto il silenzio come punizione per questo passo falso. Ma probabilmente il silenzio gli venne imposto dall’invasione barbarica, che dopo il 406 tormentò le Gallie.

La data della morte di Sulpicio è incerta; va collocata tra il 420 e il 425.

Gli scritti

Di Sulpicio ci sono giunti due libri di Chronica, la Vita Sancti Martini, tre lettere e i due libri dei Dialoghi. Fatta eccezione per il primo, gli altri documenti sono tutti dedicati alla figura di san Martino. I copisti medievali raggrupparono la Vita, le Lettere e i Dialoghi sotto il titolo di Martinellus, come se fosse un’opera unitaria.

Nei Chronicorum libri duo il lettore incontra una rassegna della storia universale, dalla creazione del mondo per arrivare fino al consolato di Stilicone (400). L’opera va menzionata perché, quando si avvicina ai tempi dell’Autore, dà importanti notizie sulle vicende che coinvolsero i seguaci dell’eretico Priscilliano, nelle quali ebbe parte anche Martino, difeso nelle ultime pagine dei Dialoghi.

Va menzionato anche il De vita beati Martini liber unus, scritto quando il protagonista era ancora in vita, probabilmente tra il 395 e il 397, anno della morte del vescovo. L’enorme tradizione manoscritta (ci sono giunti più di 150 manoscritti) rende ragione del successo di questa opera, che i critici accostano alla Vita Antonii di Atanasio.

Intento del libro è dimostrare come Martino abbia imitato e superato i grandi santi della tradizione cristiana. Ma già in quest’opera si intravede una vena polemica contro i detrattori del santo di Tours, quasi sempre ecclesiastici che mal vedevano il portamento e lo stile di vita del santo. Proprio questo potrebbe giustificare la compilazione e l’edizione del testo prima della morte del santo.

Le tre Lettere sono un post scriptum che si incunea tra la Vita e i Dialoghi. La prima racconta un incendio che aveva seriamente minacciato la vita del santo; la seconda è la consolatio per la morte di Martino, un’orazione funebre, in cui Martino è presentato come un martire: il martirio incruento (sine cruore martyrium) è un luogo comune diventa tanto più significativo in quanto il vescovo di Tours fu il primo non martire ad essere venerato santo come i martiri.

La terza lettera racconta l’ultimo viaggio del vescovo Martino verso Candes dove intendeva riportare la pace tra il clero; lì lo colse la morte, cui seguirono il rientro trionfale e i funerali a Tours.

I Dialogi infine sono il resoconto di un colloquio (conlatio), in due giornate, tra Postumiano, Gallo e Sulpicio. Postumiano ha viaggiato in Oriente, sulle tracce delle suggestive esperienze monastiche di quei luoghi, che espone in una serie di quadretti tipici della letteratura monastica. Quindi la parola passa a Gallo che "rinfaccia" all’amico i prodigi operati da Martino, che agli occhi di Sulpicio e dei suoi è l’"Antonio dell’Occidente". Anzi Martino ha operato prodigi che superano quelli degli Orientali: lui solo operò risurrezioni di morti e per questo può comodamente essere affiancato ai profeti e agli apostoli; altri prodigi lo assimilano a Cristo, come quando guarì l’emorroissa, predispose per il diacono una sorta di pesca miracolosa e una tempesta fu sedata nel nome di Martino.

Ma non è solo un sorta di "campanilismo" a parlare. C’è soprattutto un attacco contro le frange maggioritarie dell’episcopato gallico che malvedevano l’eroe di Sulpicio.

È infatti indubbio che la figura di Martino costituì nelle Chiese della Gallia sul finire del IV secolo un segno di contraddizione. Ai detrattori del Santo non piaceva il suo compromettente passato militare e non solo per la strutturale violenza insita nella professione; non piaceva nemmeno la sua dedizione alla predicazione nei villaggi (i pagi), il mancato rispetto dei confini diocesani.

Soprattutto non piacque la coraggiosa presa di posizione di Martino durante la controversia priscillianista, quando egli si oppose all’alleanza tra l’imperatore Massimo e un gruppo di vescovi, che invocavano le maniere forti contro gli eretici: Martino invece diceva che era "scandaloso, inaudito e nefasto che un affare ecclesiastico fosse giudicato da un giudice secolare" (Chron ii 50.2). Il caso dei priscillianisti doveva alimentare a lungo la divisione nelle Chiese della Gallia, almeno fino al 398.

Per la sua presa di posizione, tesa a scongiurare la condanna capitale dei seguaci di Priscilliano, Martino diventa una figura quanto mai interessante e moderna. L’episodio è importante, anche se ebbe esiti fallimentari: tutto infatti fu inutile e – come se non bastasse la sconfitta morale – a Martino vennero pure addebitati sospetti di fiancheggiamento dell’eresia. Dopo questi fatti l’episcopato gallico fu diviso per dodici anni, nonostante i molti tentativi di conciliazione. Per questo Martino non volle partecipare più ad alcuna riunione di vescovi.

Le ultime righe dei Dialoghi ritraggono un Martino amareggiato, umile vittima di circostanze in cui dovette navigare tra Scilla e Cariddi. Un tratto di umanità, su uno dei santi più venerati nella storia.

 

 

 

Data ultimo aggiornamento: Venerdi' 20 luglio 2007