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191026

DONATELLA BARTOLINI 

Medici e comunità. Esempi dalla terraferma veneta

Deputazione Editrice, Venezia 2006, pp.279 , cm.17x24,5

Introduzione

Questo libro si occupa dei rapporti che tra ‘500 e ‘600 un gruppo di centri della Terraferma veneta intrattennero con i professionisti della salute (medici, chirurghi, barbieri e speziali). Come molte altre città italiane e dell’Europa del sud, anche in quest’area, a partire dal XIII-XIV secolo, le comunità cominciarono a stipendiare un medico per fornire assistenza sanitaria alla popolazione. Queste figure erano conosciute come "medici condotti".

In pieno ‘500 nel Dominio veneto le condotte mediche sopravvivevano soltanto nelle piccole comunità. La domanda di assistenza medica era sia urbana che rurale. Non c’è dubbio, inoltre, che il servizio toccasse uno dei fondamenti dell’essere città. Il medico pubblico faceva parte anche della retorica municipale: egli era, nelle parole dei consiglieri di Castelfranco, "di grande ornamento et commodo di questa spectabil communità". "Ogni ben retta et governata patria non manca mai di provisione a tutte le cose che le sono necessarie". Sono parole che i consiglieri di Conegliano utilizzarono nel 1605 per motivare l’istituzione della condotta medica.

Cosa era necessario al vivere civile? La risposta risiedeva nell’insieme dei servizi sociali che ogni comunità organizzava per il "bene comune", dalla regolazione della fornitura d’acqua, alla pulizia delle strade, al servizio postale che univa i vari centri con Venezia. Le disponibilità finanziarie dei singoli centri implicavano anche un diverso grado di organizzazione dei servizi, ma un’attenzione particolare era riservata alle figure del medico e del maestro che, assieme all’organista o al predicatore stipendiato, formavano il nucleo di base testimoniato in tutte le comunità. Uomini "dotti et litterati in ogni professione" erano gli ingredienti principali dell’onore e della fama di una città. Di fronte alla crisi che squassò lo stato veneto di Terraferma a cavallo tra ‘500 e ‘600, gli amministratori di Feltre ricordarono ai loro colleghi di consiglio che, quando fossero venuti a mancare medico e maestro, sarebbe "estinta la magnifica comunità, la città deventeria come una villa".

All’opposto, per un medico, quale significato aveva ricoprire un incarico pubblico, come si inseriva all’interno di una carriera? Bisogna subito dire che la ricerca della "figura tipo" del medico condotto di antico regime si è rivelata del tutto infruttuosa. Chi usò il posto pubblico come un trampolino di lancio, chi lo visse come una parentesi, chi ne fece l’attività principale, inseguendo condotte via via migliori, tanto nello stato veneto, che fuori di esso.

Ho preferito, quindi, guardare alla professione medica nel suo complesso, considerando formazione culturale, clientela, retribuzione e pratica privata, che venne sempre intesa come un’attività complementare al servizio pubblico. Per questa ragione non ho voluto proporre carriere esemplari. L’attenzione alle vicende personali e professionali del fisico-chirurgo bellunese Nicolò Chiavenna va considerata, più che altro, come un mezzo per restituire un contesto e un sistema di relazioni.

In breve: argomento di questa ricerca non sono tanto le forme in cui si articolava l’organizzazione sanitaria di antico regime (ossia una storia di tipo istituzionale), quanto i rapporti tra i medici che lavorarono al servizio del pubblico e le comunità che li assunsero. L’area di elezione è l’attuale Veneto nord orientale. Città piccole, "quasi-città" e, talora, centri abitati che, pur non essendo né queste né quelle, ospitavano funzioni che non si possono chiamare altro che urbane.

Nelle pagine che seguono sono delineate le caratteristiche dell’istituto della condotta medica, seguendone l’evoluzione dal XIII al XVI secolo. Il capitolo sull’organizzazione sanitaria ci mostra, invece, i medici alle prese con l’attività di cura e con tutte le mansioni richieste dalla politica di igiene pubblica e di prevenzione e controllo delle epidemie ispirata da Venezia. Essa costituì il principale modello su cui le comunità suddite basarono la propria organizzazione sanitaria, un modello che veniva trasferito e adattato alle realtà locali, sia per quanto riguarda le funzioni attribuite ai medici condotti e agli uffici di sanità, sia in merito all’esercizio della professione medica. La città fu anche il principale bacino di reclutamento dei medici condotti. Era qui che la gran parte dei medici attivi nello stato veneto trovavano modo di avviare la carriera subito dopo gli studi o, comunque, soggiornavano per periodi variabili, acquisendo decisive esperienze sociali e professionali. I rapporti tra attività pubblica e privata sono al centro dei capitoli dedicati alla diffusione del personale sanitario nelle comunità alpine e alla professione medica così come attestata nella Terraferma e a Venezia tra il XVI e il XVII secolo.

Più che un modello o un percorso evolutivo coerente, quello che le fonti hanno presentato è stata piuttosto la varietà di soluzioni, di assetti organizzativi che distinguevano comunità e comunità, sia nel loro rapporto con Venezia che con i medici stipendiati. Si tratta di "differenze, divergenze, graduazioni" determinate dai diversi sistemi fiscali, dalla maggiore o minor floridezza, dal prevalere di un particolare clima politico, insomma, determinate dalla storia di ciascuna comunità. Ho privilegiato la ricostruzione dei meccanismi che presiedevano alla nomina del medico attraverso il loro operare concreto, individuando linee di sviluppo a partire dalle pratiche piuttosto che dal quadro istituzionale. Ho messo a fuoco alcuni problemi osservandoli all’interno di situazioni e di momenti significativi – la ricerca del medico, la sua elezione da parte dei consigli cittadini, l’assunzione dei compiti, l’attribuzione del salario e l’effettivo svolgersi dell’attività terapeutica - dando risalto alle particolarità e all’uso diverso che medici e comunità fecero delle prerogative loro attribuite. Tra i vari motivi che mi hanno persuaso a seguire questa via, basterà ricordarne uno: "considero che la pratica si discorda spesso, anzi il più delle volte, dalla speculazione: e anche dico fra me: che puoi tu sapere che ciascuna parte del mondo si rassomigli alle altre […] perché, torno a dire, veggiamo che molte conclusioni cavate da ottimi discorsi, non reggono all’esperienza; e questo interviene più che mai, quando elle appartengono a cose intorno alle quali si ha pochissimo lume."